Capire che cos’è la profondità di campo è fondamentale per comprendere anche un altro concetto molto importante in fotografia e in astrofotografia amatoriale: l’iperfocale o distanza iperfocale.
La profondità di campo, in inglese Depth Of Field (DOF) rappresenta l’area all’interno della quale gli oggetti fotografati saranno a fuoco, dal più vicino al più lontano. Include quindi una gamma di distanze all’interno delle quali gli oggetti saranno ragionevolmente nitidi. E’ importante comprendere immediatamente che in quest’area avremo due limiti, uno vicino e uno lontano, oltre i quali non avremo più una corretta messa a fuoco degli elementi presenti sulla scena.
Quando scattiamo una fotografia tutti gli oggetti compresi tra questi due limiti saranno perfettamente a fuoco, mentre tutto quello più vicino o più lontano apparirà sfuocato e poco dettagliato.
Esistono importanti fattori che determinano la profondità di campo: l’apertura e la lunghezza focale.
L’apertura è un fattore che regola l’ampiezza tra il limite vicino e il limite lontano. Un’apertura contenuta (rapporto focale lento) produrrà una distanza maggiore tra i due limiti, mentre con un’apertura abbondante (rapporto focale rapido) otterremo una profondità di campo ridotta, con i due limiti di messa a fuoco più vicini tra loro.
La lunghezza focale invece subentra con un’altra caratteristica: sposta più lontano o più vicino l’intera area di messa a fuoco. Più allunghiamo la focale e più lontana sarà l’area di messa a fuoco rispetto al fotogramma. Cambia quindi la distanza di messa a fuoco.
Esiste poi un fattore rilevante in fotografia chiamato “cerchio, o circolo, di confusione” che è determinato dal sistema fotografico e limitato o dalla risoluzione del sensore o dal potere risolutivo dell’ottica. In questo articolo introduttivo mi limito a qualche semplice definizione, ma esistono formule accurate per calcolare e verificare tutte queste proprietà, vi riporto ad esempio l’interessante pubblicazione di Norman Koren: qui.
Nell’articolo Norman racconta come lo standard spesso ancora oggi in uso per definire un cerchio di confusione massimo accettabile, corrispondente a 0,01 pollici, sia storicamente basato sul riferimento delle pellicole in uso negli anni ’30, quando la definizione e le risoluzioni di stampa erano ben lontane da quelle odierne. Oggi questo valore andrebbe rivisto e, come ultimo spunto per chi di voi vorrà approfondire l’argomento, sappiate che anche diffrazione e aberrazioni dell’obiettivo incidono sull’incisione dei dettagli ai due limiti della profondità di campo.
Che cos’è l’iperfocale?
La sua definizione è piuttosto semplice:
La distanza di messa a fuoco che permette la maggiore profondità di campo possibile tenendo conto della lunghezza focale dell’obiettivo e l’apertura (diaframma) impostato.
Mettendo a fuoco a questa distanza, tutto quello che si trova dal limite anteriore della profondità di campo fino all’infinito, dovrebbe essere a fuoco. Questo è il punto quindi dove la messa a fuoco pone il limite lontano all’infinito.
Esistono anche qui gli stessi fattori di prima che influenzano l’iperfocale, l’apertura, la lunghezza focale e stavolta anche il cerchio di confusione.
Per determinare un valore più o meno preciso del cerchio di confusione la dimensione del pixel è senz’altro determinante, pixel troppo grandi ad esempio non permetterebbero un campionamento adeguato per sfruttare il potere risolutivo dell’ottica. Per ottenere però un numero verosimile bisognerebbe in realtà moltiplicare il pixel pitch per un fattore che consenta di ottenere un valore prossimo al reale campionamento del sistema.
Tenete però conto che spesso online troverete i seguenti valori medi da usare per il cerchio di confusione da inserire nella formula. Questi, nonostante siano erroneamente basati sulle dimensioni medie del formato fotografico, raggiungono un valore che più o meno equivarrebbe a quello ottenibile moltiplicando il pixel pitch per un ipotetico fattore che tenga conto del campionamento reale.
- Sensore Full Frame = 0,03 mm
- APS-C = 0,019
- APS-H = 0,024
- 4/3 = 0.015
Personalmente io nella formula utilizzo la dimensione del singolo pixel del sensore espressa in millimetri, poiché il mio scopo non è ottenere un numero assoluto ed incontrovertibile, ma soltanto comprendere entro quali limiti minimi e massimi si troverà la mia distanza iperfocale.
Posso calcolare quindi la distanza iperfocale e capire dove inizia?
E’ possibile stimare oltre quale punto avremo certamente tutto a fuoco. Per farlo adottiamo una semplice formula:
H = ((F^2) / (f * c)) + F
Dove:
H = Hyperfocal Distance (distanza iperfocale)
F = Focal Length (lunghezza focale)
f = F/Stop (apertura del diaframma o diametro dell’ottica)
C = Circle of Confusion (cerchio di confusione) = io uso il Pixel Pitch espresso in millimetri
Attenzione
Questa formula si pone come unico obiettivo quello di restituire un dato che, seppur indicativo, possa essere sufficientemente chiaro ai fini di comprendere quali parametri regolino i risultati, facendo così luce su alcuni concetti base per sfatare i dubbi che talvolta il principiante si pone sulla messa a fuoco del cielo notturno.
Una volta calcolata la distanza iperfocale in millimetri sarà utile trasformarla in chilometri e dividere il risultato a metà per ottenere il limite di questa distanza, ovvero il punto anteriore dal quale iniziamo a fotografare “ad infinito”, come è di uso comune dire.
In astrofotografia
Ho realizzato qualche calcolo di prova di cui vi presenterò dei dati arrotondati per avere cifre che rendano l’idea.
Cifre per altro che utilizzando il pixel pitch non terranno conto del campionamento reale e che restituiranno complessivamente distanze iperfocali superiori a quelle effettive, o per meglio dire, un limite massimo che avremmo con un campionamento ideale.
Ho ipotizzato di agganciare ad un telescopio newtoniano 200/800 mm una macchina con sensore con pixel da 4,29 micron.
Con 200 mm di apertura, 800 mm di lunghezza focale, un rapporto focale f/4.0 e un sensore con pixel da 4,29 micron il risultato che ottengo è di:
37 km di distanza iperfocale /2 = 18,5 km
Ovvero, superati i 18.5 km circa qualsiasi oggetto più distante condividerà lo stesso punto di messa a fuoco.
Lo stesso esempio l’ho ricalcolato variando i componenti. Ho messo un sensore con pixel da 6 micron su un telescopio newtoniano 200/1000 con rapporto focale f/5.
Il risultato arrotondato è:
33 km di distanza iperfocale /2 = 16,6 km
Superati i 16,6 km circa ogni oggetto avrà la stessa messa a fuoco.
La Luna ha una messa a fuoco diversa da un pianeta o da una stella?
Queste spiegazioni semplificate su cos’è la profondità di campo e l’iperfocale spero possano risolvere in modo altrettanto semplice e veloce alcuni dubbi che talvolta si pone un principiante circa la possibile differenza di messa a fuoco tra oggetti a differenti distanze nel cosmo. I telescopi professionali più grandi e potenti realizzati sul nostro pianeta riescono a percepire una lieve differenza nel punto di messa a fuoco tra i satelliti artificiali in orbita alla Terra e l’universo. Possiamo quindi dire che oltre i 5000 km qualsiasi strumento avrà raggiunto un punto di messa a fuoco “ad infinito” e che per tanto non possono sussistere differenti regolazioni di messa a fuoco tra la Luna, Giove, una nebulosa nella Via Lattea piuttosto che una lontana galassia a milioni di anni luce.
Ringrazio Roberto Bini e Giovanni Paglioli per l’interessante confronto sul tema.
< Cos’è la profondità di campo e l’iperfocale >