Formatore e fotografo professionista specializzato in astrofotografia e fotografia notturna. Nel 2019 premiato in Parlamento per le attività di divulgazione della fotografia astronomica. Lavoro come fotografo e formatore per aziende, professionisti e appassionati.

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Astrofotografia in Banda Stretta e Hubble Palette

I Pilastri della Creazione in Hubble Palette M 16 pillars of creation nasa SHO narrowband banda stretta m 16 aquila eagle nebula nebulosa

Cosa hanno in comune l’astrofotografia a banda stretta e l’Hubble Palette ideata dalla NASA? Ognuno di noi ha visto almeno una volta nella vita le incredibili immagini del telescopio spaziale Hubble. Dagli iconici Pilastri della Creazione, alle fotografie della nebulosa Bolla, caratterizzate da colori e contrasti incredibili e da una straordinaria profondità. Ma come si realizzano queste immagini? Ed è possibile ottenerle anche in astrofotografia amatoriale?

L’Hubble Space Telescope

La storia fotografica del telescopio spaziale Hubble si può riassumere in tre fasi. La prima fino al 1998 dove il telescopio utilizzava una camera chiamata WFPC2 (Wide Field and Planetary Camera 2), composta da 4 sensori CCD da 800×800 pixel ciascuno. Tre di questi uguali e specifici per riprese a largo campo, disposti ad L, mentre il quarto chiamato Planetary Camera caratterizzato da un campo più stretto per riprese più dettagliate. Le fotografie venivano realizzate quasi sempre combinando insieme i 4 CCD ed offrendo al mondo una nuova visione dell’universo e della luce compresa tra 120 e i 1000 nm (rispetto allo spettro del visibile compreso da 380 nm a 780 nm).

Nel 1998 con la missione STS-125 (Space Telescope Servicing Mission 4) dello Space Shuttle, viene installata la nuova camera WFC3, tecnologicamente più avanzata con due CCD da 2048×4096 pixel ciascuno e un rilevatore infrarosso separato da 1024×1024 in grado di ricevere radiazioni fino a 1700nm. Il canale ottico della nuova camera copre un campo visivo di 164×164 arcsec (circa l’8,5% del diametro della Luna piena vista dalla Terra).

Infine nel 2002 venne installata una nuova fotocamera, la Advanced Camera for Surveys (ACS). Il suo ampio campo visivo è quasi il doppio rispetto alla precedente camera. Il nome deriva dalla sua particolare capacità di mappare grandi aree del cielo in modo molto dettagliato. L’ACS può anche eseguire la spettroscopia con uno speciale strumento ottico chiamato “grism”. I suoi 48 filtri consentono agli scienziati di studiare precise lunghezze d’onda della luce e di rilevare una gamma di lunghezze dalla luce ultravioletta a quella del vicino infrarosso.

I filtri in astrofotografia permettono di catturare incredibili immagini del cosmo adattandosi alle proprietà dei singoli soggetti. Tra una galassia ed una nebulosa ad emissione infatti possono essere adottate scelte differenti allo scopo di ottenere un risultato più efficace. Questo lo si fa anche in astrofotografia amatoriale, decidendo di fotografare oggetti nell’intero spettro del visibile, attraverso l’uso di filtri a banda larga, o di selezionare precise emissioni elettromagnetiche con specifici filtri a banda stretta.

Catturare lo spettro visibile in banda larga è sempre una buona idea per ottenere immagini con colori verosimili…

…anche se in astrofotografia estetica a volte il colore è un po’ relativo.
Molto del materiale che compone le nebulose ad emissione è idrogeno ionizzato, che “emette” la propria luce su una lunghezza d’onda di 656 nanometri, teoricamente visibile all’occhio umano, ma non nel caso delle nebulose dove non è abbastanza intensa per permetterci di percepirne il colore. Quando in astrofotografia si realizza un’immagine di una nebulosa utilizzando una reflex modificata per astrofotografia o una camera astronomica dedicata, questa frequenza è chiaramente a portata del sensore e verrà rappresentata sul risultato finale, rendendo quindi la fotografia non esattamente verosimile rispetto a quello che ipoteticamente vedremmo con i nostri occhi se ci trovassimo lì.

Il discorso dello spettro elettromagnetico e della luce del visibile è stato affrontato più volte in articoli precedenti e non mi ci soffermerò qui. In astrofotografia comunque non sempre si sceglie di fotografare l’intero spettro a disposizione. Con le nebulose ad emissione ad esempio, dove la composizione principale è data da un numero limitato di gas, si sceglie spesso di fotografare con filtri selettivi a banda stretta, adatti quindi a raccogliere emissioni specifiche escludendo gran parte dello spettro elettromagnetico.

Questo è un principio fondamentale per l’imaging a banda stretta e si basa sulla spettrometria. La spettrometria è la capacità di determinare la composizione di alcuni elementi rispetto alla luce che emettono. Ciò è di particolare utilità per l’astronomia in quanto consente lo studio di molti oggetti nell’universo. Questa scelta è sempre più dettata anche dall’aumento dell’inquinamento luminoso, specialmente per gli astrofotografi amatori. Tecniche e filtri selettivi permettono di ottenere quindi risultati buoni anche da cieli molto inquinati.

Qui però in astrofotografia sorge un problema legato alla rappresentazione

Ci ritroviamo con un sensore capace di fotografare colori che noi non possiamo vedere (questa è una proprietà dei sensori per astrofotografia, valida quindi sia per la banda larga, sia per la banda stretta), ma che in qualche modo dovranno poi essere rappresentati su un’immagine finale.

Quale colore dareste all’idrogeno ionizzato H-Alpha?
Nel caso del telescopio spaziale Hubble e in alcuni casi di astrofotografia amatoriale, questo discorso si estende anche all’ultravioletto, o all’infrarosso. Come possiamo rappresentare questi colori?
Il problema negli anni è stato affrontato ideando alcuni metodi, ad oggi ormai diffusi, per combinare singoli canali in banda stretta in una “tricromia tradizionale” capace quindi di mappare le informazioni raccolte e produrre immagini visibili, ma in falsi colori. Si tratta quindi di immagini multibanda dove i canali vengono assemblati ordinando le loro frequenze energetiche, a lunghezze d’onda minori, ad esempio, vengono assegnati colori RGB con lunghezze d’onda minori.

Un metodo di combinazione di canali in banda stretta è chiamato Hubble Palette

Fotografando con sensori monocromatici ed assemblando una tricromia composta da singoli canali a banda stretta (scelti all’epoca dalla NASA proprio per il telescopio spaziale Hubble), possiamo realizzare una composizione finale dove, con colori di fantasia e completamente falsi, è possibile evidenziare le differenti componenti gassose all’interno delle nebulose ad emissione.
La tricromia a banda stretta più diffusa anche in astrofotografia amatoriale è composta da H-Alpha (idrogeno ionizzato), Oiii (ossigeno ionizzato) e Sii (zolfo ionizzato).
Un metodo di montaggio dei canali in banda stretta è chiamato Hubble Palette e prevede che questi tre canali siano montati in sequenza Sii:Ha:Oiii, spesso sintetizzata con la sigla SHO.

Astrofotografia in Banda Stretta e Hubble Palette

Per quanto la tecnica Hubble Palette applicata all’astrofotografia amatoriale a banda stretta possieda regole di sviluppo piuttosto indicative, ha qualche principio fondamentale alla base:

  • E’ rivolta ad oggetti del cosmo ionizzati, che emettono gran parte della loro luce su queste tre emissioni. La fotografia a banda stretta infatti, indipendentemente da come deciderete di combinare la tricromia finale, non è adatta ad oggetti che emettono su un ampio spettro, come galassie e ammassi globulari.
  • E’ un’immagine a colori intenzionalmente FALSI. Questo non deve rappresentare un problema se si comprende lo scopo della Hubble Palette, ovvero un fine puramente estetico per evidenziare intensità e contrasti delle diverse componenti gassose che formano una nebulosa ad emissione.
  • E’ preferibile realizzarla con camere monocromatiche, per quanto la si possa ottenere anche con camere a colori e filtri a banda stretta. La cosa importante è che si utilizzino filtri singoli che permettano di separare i gas su canali diversi. NON è possibile realizzare una Hubble Palette utilizzando filtri multi banda stretta, oggi molto diffusi, ideati per camere a colori. Certo, potremo ottenere risultati apparentemente simili nei colori, ma se il principio della tecnica prevede di separare i singoli gas su canali diversi, quella non sarà Hubble Palette.

Definisco le regole di sviluppo indicative perché il vincolo fondamentale è la combinazione dei dati in sequenza Sii:Ha:Oiii, ma tra il momento della combinazione e il risultato finale, l’astrofotografo ha comunque parecchia libertà nello sviluppo di colori e contrasti.

Alcuni esempi di risultati differenti partendo dallo stesso materiale

Nebulosa Aquila m 16 Hubble Palette Astrofotografia pilastri della creazione antlia ha oiii sii SHO h-alpha ossigeno zolfo

Eagle Nebula | Hubble Palette | SHO 3.5nm
Sii 36×300” | Ha 45×300” | Oiii 36×300”
Sky-Watcher 200/800 f/4 | AZEQ6-GT | QHY 163M | Antlia filters SHO 3.5nm

Questa immagine, realizzata dal mio osservatorio con una camera monocromatica e tre filtri a banda stretta abbastanza selettivi, è stata combinata nella sequenza Hubble Palette e sviluppata per rappresentare colori, intensità e contrasti che mi sembrassero gradevoli.

Nonostante la combinazione corrisponda a quella utilizzata dalla NASA, potete notare qui sotto quanto le tonalità differiscano dall’originale, lasciando quindi molto incerto il nostro risultato amatoriale. E’ anche vero che nelle Hubble Palette NASA potreste trovare talvolta altre emissioni che non si acquisiscono in astrofotografia amatoriale con i tre classici filtri Ha, Oiii e Sii.

NASA’s Hubble Space Telescope has revisited the famous Pillars of Creation
Astronomical Credit: NASA, ESA, and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)

Per questa ragione e a scopo puramente ludico, ho deciso di provare ad emulare il medesimo sviluppo di tonalità e contrasti riprendendo dall’inizio l’elaborazione degli stessi canali monocromatici assemblati con sequenza SHO.

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Il tentativo di emulare contrasti e tonalità dell’originale NASA è nato quando ho avuto possibilità di visionare il materiale originale di sviluppo, dove ho potuto esaminare accuratamente i metodi di lavorazione. Grazie poi ai preziosi consigli dell’amico e stimato astrofotografo Giovanni Paglioli, sono arrivato ad un risultato interessante. Questo esempio serve solo per comprendere quando lo sviluppo, pur mantenendo gli stessi dati e lo stesso montaggio, possa portare a risultati decisamente differenti.

Per quanto tutto resti sempre limitato ad un “gioco” di colori di fantasia e di sviluppo molto libero e soggettivo, la Hubble Palette ha permesso alla NASA di creare straordinarie immagini per il grande pubblico e trasmettere il fascino di oggetti lontani nel cosmo come mai avremmo potuto fare prima.

Esistono molti altri modi di combinare i nostri canali in banda stretta, alcuni più vicini ad una composizione “reale”, altri molto distanti, come la Hubble Palette. Ognuno di noi ha infinite possibilità in astrofotografia di rappresentare il segnale raccolto dal cosmo, talvolta a scopo scientifico, talvolta a scopo artistico. Attenendosi ad immagini a banda larga “verosimili”, o realizzando fotografie a banda stretta in falsi colori. L’obiettivo però per noi astrofotografi dilettati resta sempre lo stesso: divertirci e far incuriosire gli altri alle meraviglie del cosmo. Senza perderci troppo in inutili scontri etici su questo metodo di combinazione, forse vale la pena sfruttarlo unicamente ai fini di questa possibilità: affascinare.

“Astrofotografia in Banda Stretta e Hubble Palette

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